sabato 22 dicembre 2012

Tecnologie del potere: Falsa coscienza reazionaria






La teoria freudiana rimane arretrata sul versante sociale, d'altro canto la teoria marxista tralascia o rifiuta il versante psicologico [1]. La Scuola di Francoforte cerca di integrare a vicenda queste due scienze; prima ancora la sessuo-economia reichiana tentava anch'essa di risolvere la contraddizione che fa dimenticare alla psicoanalisi l'originarietà del fattore sociale e al marxismo l'origine animalesca dell'uomo.

Freud, analizzando tramite il concetto di super-io l'introiezione della società, ha spiegato come la battaglia del potere si possa svolgere anche e soprattutto all'interno del soggetto, come il dominio contraddistingua sia la costrizione fisica che quella morale. Sempre Freud parla della civiltà anche in termini di dominio quando la definisce come “qualcosa che fu imposto a una maggioranza recalcitrante da una minoranza che aveva capito come impossessarsi del potere e dei mezzi di coercizione” [2].

Reich e gli esponenti della Scuola di Francoforte utilizzano i contributi offerti dalla psicoanalisi per spiegare come il potere riesca a ottenere la sottomissione degli individui e delle classi subalterne con una efficacia e permanenza impossibile da ottenere solo mediante mezzi apertamente coercitivi [3]. Del resto sono state proprio le masse impoverite a contribuire alla presa del potere da parte del fascismo e del nazismo [4], cioè dell'estrema reazione politica. Le masse non sono state ingannate, hanno effettivamente desiderato il fascismo [5]. Per spiegare fenomeni come questi occorre indagare il ruolo svolto dall'ideologia sulla base economica, la ripercussione dell'ideologia sulle masse. Infatti l'arma principale dei proprietari dei mezzi sociali di produzione sulla classe oppressa è il potere ideologico, solo raramente si servono della forza brutale.

Già Marx dimostra come le ideologie possano distorcere la percezione della realtà fino a sviluppare una falsa coscienza [6], è convinto che una volta eliminate le distorsioni ideologiche chiunque sia in grado di riconoscere la realtà materiale delle proprie condizioni di vita sociale e quindi di scegliere e agire razionalmente per il miglioramento delle proprie condizioni di vita. Ma, come spiega Reich, quando “una ideologia sociale modifica la struttura psichica degli uomini, non solo essa si è riprodotta in quegli uomini, ma, cosa che è molto più importante, essa è diventata, sotto forma dell'uomo così modificato concretamente e quindi dell'uomo che ora agisce in modo diverso e contraddittorio, una forza attiva, una forza materiale” [7]. In altre parole, l'introiezione del potere modifica sia la coscienza che la struttura pulsionale dell'uomo. E' quindi possibile che l'autoritarismo dell'organizzazione economica e sociale, produca anche tra le classi lavoratrici individui dal carattere autoritario e reazionario che agiscono, sentono e pensano contro il proprio interesse materiale. Il carattere autoritario e repressivo della società moderna di massa è determinato parallelamente, ma cataliticamente, dalle strutture economiche-sociali-ideologiche e dalle strutture interiori della psiche individuale.

Deleuze, più radicalmente, arriva a sostenere l'identità tra economia politica ed economia libidinale o desiderante, vi è una sola economia [8], quella del desiderio come libido. Se in un certo momento e in certe circostanze la massa aderisce agli interessi ed ideali di una classe oggettivamente nemica che la opprime, il problema non è ideologico ma di desiderio, che per Deleuze è a tutti gli effetti parte dell'infrastruttura materiale, anzi ne è proprio il motore e l'essenza. Il soggetto può desiderare la propria repressione perché gli investimenti inconsci sono spesso del tutto indipendenti dagli interessi del soggetto (individuale o collettivo) che desidera; difatti spesso “un investimento inconscio di tipo fascista, o reazionario, può coesistere con l'investimento conscio rivoluzionario” [9].

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1 Cfr. A. ZAMPERINI, L'autoritarismo: dalla sessualità all'influenza sociale, 2002, in W. Reich, Psicologia di massa e analisi del fascismo, Torino, Einaudi, 2009 p. 19
2 S. FREUD, L'avvenire di un'illusione, in Il disagio della civiltà e altri saggi, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, p. 146.
3 Cfr. G. FORNERO e S. TASSINARI, Le filosofie del Novecento, Milano, Mondadori, 2002, p. 552
4 Cfr. W. REICH, Psicologia di massa e analisi del fascismo, Torino, Einaudi, 2009 p. 11.
5 Cfr, G. DELEUZE e F. GUATTARI, L'Anti-edipo, Torino, Einaudi, 2002, p. 33
6 Cfr. K. MARX e F. ENGELS, L'ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 44: “La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale, dispone con ciò, in pari tempo dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio”.
7 W. REICH, Psicologia di massa del fascismo, Torino, Einaudi, 2009, p. 19
8 Cfr. G. DELEUZE, Cinque proposizioni sulla psicoanalisi, in L'isola deserta e altri scritti, Torino, Einaudi, 2007, p. 351: “E' la stessa economia che è economia politica ed economia desiderante”.
9 G. DELEUZE e F. GUATTARI, L'Anti-Edipo, Torino, Einaudi, 2002, p. 116.

giovedì 20 dicembre 2012

Tecnologie del potere: Identificare il molteplice





La colonizzazione dell'inconscio da parte dell'io, l'affermazione del principio di realtà sul principio di piacere, la traduzione del desiderio in discorso, la trasformazione della macchina desiderante in macchina teatrale, l'edipizzazione dell'anedipico, la riterritorializzazione nevrotica e paranoica della deterritorializzazione schizofrenica; tutti questi processi non sono in definitiva che un'unica tecnologia di potere, un unico meccanismo: la riduzione del molteplice ad unità.

L'essenza del potere e di tutta la civiltà occidentale guidata da una razionalità fondata sulla logica del dominio è ridurre il differente all'identico. La razionalità stessa implica un'istanza di dominio dal momento che il particolare viene considerato sempre e solo come caso dell'universale [1]. Un equivalente astratto identifica quello che originariamente si mostra come eterogeneo [2], muove guerra nei confronti di tutto ciò che non si lascia identificare [3] ponendolo al di fuori del reale o manipolandolo per poterlo assorbire: “la ragione, come pensiero astratto e come condotta, è necessariamente impero, dominio. Il logos è legge, precetto, ordine per virtù di conoscenza” [4]. La ragione è guidata da un a-priori tecnologico: accorda dall'esterno universale e particolare, concetto e caso particolare, al solo fine di trasformare l'esistente in suo oggetto e così facendo in materiale di sfruttamento. L'uomo si astrae dalla natura per poterla afferrare e manipolare [5]. Nella trasformazione dell'ambiente esterno per la propria sopravvivenza, l'uomo si pone come soggetto (dominante) contro un oggetto (dominato) e l'essere viene ridotto alla sua amministrazione e manipolazione, la natura esterna (ma successivamente anche quella interna all'uomo) viene squalificata a oggetto da aggredire. E' una concezione della natura che compare significativamente anche nella Genesi [6], là dove Dio affida la terra all'uomo per soggiogarla e dominarla [7]; solo che ormai lo spirito organizzatore e dominatore dell'uomo ha preso il posto anche di quel Dio creatore.

La società industriale avanzata è l'ultimo stadio di questo processo storico che ha sempre considerato la natura come potenziale strumento, oggetto di controllo e dominio [8]. La scienza naturale e la tecnologia sono sì caratterizzate dalla neutralità e dall'oggettività con cui trattano la materia, ma è precisamente il loro “carattere neutrale che rapporta l'oggettività ad uno specifico soggetto storico, cioè alla coscienza che prevale nella società dalla quale e per la quale la neutralità è stabilita” [9]. La neutralità è l'ideologia sotto cui si nasconde, nella società tecnica capitalistica, il potere e la sua logica del dominio. L'a-priori tecnologico si rivela come a-priori politico dal momento che tutte le creazioni dell'uomo sono sociali e dal momento che la trasformazione della natura implica quella dell'uomo, anch'esso parte della natura, per quanto si illuda di potersene astrarre. La natura interna all'uomo è anch'essa campo di strategie di potere, viene oggettivata e normalizzata per poter essere conquistata. La strumentalizzazione delle cose, potenziale forza liberatrice dell'uomo, si rivela in realtà strumentalizzazione dell'uomo, e proprio “questa è la servitù allo stato puro: esistere come strumento, come cosa” [10].

Questo meccanismo per cui il dominio sulla natura implica necessariamente il distacco dalla natura e il dominio sull'uomo, è quello che Horkheimer e Adorno chiamano la dialettica dell'illuminismo (dove con illuminismo non si intende semplicemente il fenomeno storico ma tutto il razionalismo occidentale) e lo si può ricondurre alla figura paradigmatica di Ulisse. L'Odissea è una rappresentazione metaforico-narrativa della progressiva separazione dell'individuo dalla natura al fine di dominarla attraverso il sacrificio e la rinuncia al piacere, ogni volta che questo sia di ostacolo al dominio di sé. La natura, alle cui seduzioni deve sottrarsi, è incarnata nelle figure mitiche in cui di volta in volta s'imbatte, la più eloquente delle quali è quella delle sirene dal canto ammaliatore [11]. Le precauzioni che Odisseo adotta sulla nave al momento di passare davanti alle tentatrici stanno a indicare la diversa misura del sacrificio che, in una società segnata dalle diseguaglianze di classe, viene richiesto ai diversi suoi membri. Odisseo, che in quanto proprietario è esonerato dal lavoro, può concedersi il piacere dell'ascolto, ma si fa legare dai compagni all'albero della nave simbolo del dovere. I marinai, invece, cui spetta l'obbligo di un lavoro senza godimento, nemmeno il canto debbono udire, che li distoglierebbe dalla fatica, e dunque i loro sensi vanno violentemente repressi [12]. “E' ciò a cui la società ha provveduto da sempre. Freschi e concentrati, i lavoratori devono guardare in avanti, e lasciar stare tutto ciò che è a lato. L'impulso che li indurrebbe a deviare va sublimato – con rabbiosa amarezza – in ulteriore sforzo. Essi diventano pratici. L'altra possibilità è quella che sceglie Odisseo, il signore terriero, che fa lavorare gli altri per sé. Egli ode, ma impotente, legato all'albero della nave, e più la tentazione diventa forte, e più strettamente si fa legare, così come, più tardi, anche i borghesi si negheranno più tenacemente la felicità quanto più – crescendo la loro potenza – l'avranno a portata di mano” [13].

Tutta la storia dell'Occidente non è altro che la storia della razionalizzazione del corpo, del controllo sociale su di esso, del distacco della ragione da esso, dell'affermazione di un dualismo psicofisico [14]. Dall'ideazione platonica dell'idea e dell'anima [15] al dualismo cartesiano tra res extensa e res cogitans [16], dalla maledizione della carne della tradizione giudaico-cristiana alla medicina e alla tecnica, si tratta sempre di oggettivare contemporaneamente sia la natura che il proprio corpo, perché “ciò che è inferiore e asservito, viene ancora deriso e maltrattato, e insieme desiderato come ciò che è vietato, reificato, estraniato. Solo la civiltà conosce il corpo come qualcosa che si può possedere, solo in essa esso si è separato dallo spirito – quintessenza del potere e del comando – come oggetto, cosa morta, corpus. Con l'autodegradazione dell'uomo a corpus la natura si vendica perché l'uomo l'ha degradata a oggetto del dominio, a materia prima” [17].

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1 Cfr. T. ADORNO, Metacritica della teoria della conoscenza, Milano, Mimesis, 2004, p. 103: “La reificazione della logica, in quanto autoalienazione del pensiero, ha come equivalente e modello la reificazione di ciò a cui si riferisce il pensiero: dell'unità degli oggetti, i quali dinanzi al pensiero che su di essi lavora si sono talmente incorporati in unità che, prescindendo dal loro contenuto variante, si può trattenere la pura e semplice forma della loro unità. Tale astrazione rimane la premessa conforme al senso di ogni logica. Essa rimanda alla forma della merce la cui identità consiste nella equivalenza del valore di scambio”.
2 Cfr. F. NIETZSCHE, Frammenti postumi 1884-1885, fr. 40, Milano, Adelphi, 1975, p. 319: “La logica è legata a questa condizione: supporre che si diano casi identici”.
3 Cfr. F. NIETZSCHE, Frammenti postumi 1887-1888, fr. 9, Milando, Adelphi, 1971, p. 46: “A questo punto la logica e il principio di non contraddizione che la governa sono un imperativo non per conoscere il vero, ma per porre e ordinare un mondo che deve essere vero per noi. La logica è il tentativo di comprendere, o meglio di rendere per noi formulabile, calcolabile, secondo uno schema di essere da noi posto, il mondo reale”.
4 H. MARCUSE, L'uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 2004, p. 174.
5 Cfr, M. HEIDEGGER, Kant e il problema della metafisica, Bari, Laterza, 1981, p. 36: “Nel produrre la forma del concetto, l'intelletto contribuisce a rendere disponibile il contenuto dell'oggetto, in questo modo di porre si rivela la peculiarità del pro-porre rappresentativo proprio del pensiero”.
6 Cfr. U. GALIMBERTI, Il tramonto dell'Occidente, Milano, Feltrinelli, 2006, p. 294: “Il cosmo diventa mondo da dominare, da assoggettare. Non appartiene a se stesso, ma a Dio che l'ha evocato e all'uomo a cui è stato affidato. Il suo significato non è cosmologico, ma è antropo-teologico, subordinato cioè all'uomo che è fatto a immagine e somiglianza di Dio”.
7 Cfr. Genesi, 1,28: “Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmine li creò. Dio li benedisse e disse loro:”siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”.
8 Cfr. M. HEIDEGGER, L'abbandono, Genova, Il melangelo, 1983, p.34: “Il mondo appare come un oggetto, un oggetto a cui il pensiero calcolante sferra i suoi assalti, ai quali, si ritiene, nulla è più in grado di opporsi, mentre la natura si trasforma in un unico gigantesco serbatoio di energia al servizio dell'industria e della tecnica”.
9 H. MARCUSE, L'uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 2004, p. 164.
10 Ivi, p. 46.
11 Cfr. OMERO, Odissea, IX.
12 Cfr. G. FORNERO e S. TASSINARI, Le filosofie del Novecento, Milano, Mondadori, 2002, p. 557.
13 M. HORKHEIMER e T. ADORNO, Dialettica dell'illuminismo, Torino, Einaudi, 2005, p. 41.
14 Cfr. U. GALIMBERTI, Psichiatria e fenomenologia, Milano, Feltrinelli, 2006, p. 27.
15 Cfr. PLATONE, Fedone, 66 b-67 a., Milano, Rusconi, 1991: “Nel tempo in cui siamo in vita, come sembra, noi ci avvicineremo tanto più al sapere quanto meno avremo relazioni con il corpo e comunione con esso, se non nella stretta misura in cui vi sia imprescindibile necessità, e non ci lasceremo contaminare dalla natura del corpo, ma dal corpo ci manterremo puri fino a che Iddio stesso non ci avrà sciolto da esso. E così, liberati dalla follia del corpo, come è verosimile, ci troveremo con esseri puri come noi e conosceremo, nella purezza della nostra anima, tutto ciò che è puro: questo io penso è la verità”.
16 Cfr. CARTESIO, Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima, in Opere filosofiche, Bari, Laterza, 1986, p. 72: “E sebbene, forse, io abbia un corpo, al quale sono assai strettamente congiunto, tuttavia, poiché da un lato ho una chiara e distinta idea di me stesso, in quanto sono solamente una cosa pensante e inestesa, e da un altro lato ho un'idea distinta del corpo, in quanto esso è solamente una cosa estesa e non pensante, è certo che questo io, cioè la mia anima, per la quale sono ciò che sono, è interamente e veramente distinta dal mio corpo, e può essere o esistere senza di lui”.
17 M. HORKHEIMER e T. ADORNO, Interesse per il corpo, in Dialettica dell'illuminismo, Torino, Einaudi, 2005



lunedì 17 dicembre 2012

Deleuze, Spinoza. 3 (Idee)




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Linee, superfici, corpi
Tratterò dunque della natura e delle forze degli Affetti e del potere della Mente su di essi, con lo stesso Metodo con cui nelle parti precedenti ho trattato di Dio e della Mente, e considererò le azioni e i desideri umani come se si trattasse di linee, di superfici, di corpi” (Parte terza, Prefazione, qui a p. 58)

Una mappa e una via
Spinoza rivendica per sé il primato di una analisi puramente naturalistica del comportamento umano (anche se prima di lui Descartes e Hobbes hanno aperto la strada). Quindi l'etica è uno studio delle leggi in base alle quali le passioni muovono l'uomo. Ma non è solo questo. L'etica è un percorso, una via che conduce, senza alcuna enfasi, senza alcun mistero o posa iniziatica, alla scoperta delle possibilità che ha l'uomo di essere libero, a patto però di essere disposti ad un enorme sforzo, una complessiva critica e ridefinizione di ogni concetto. Bisogna imparare a parlare un nuovo vocabolario. Per esempio: libertà. Non è più una assoluta assenza di determinazione, ogni cosa finita deve avere una causa. Libertà significherà d'ora in poi: non essere determinato da una causa esterna, estranea.

Tela
Ogni filosofo vuol trovare un senso – ossia un'unità – del mondo; ma gli oggetti che deve considerare sono infiniti, e i nessi concettuali che deve stabilire tra di essi sono, se possibile, ancora più infiniti. Il vigore di un filosofo è misurato dall'ampiezza di questa rete, che egli getta sulle cose, tentando di afferrarle e di stringerle. Ma ciò che conta ugualmente, è la quantità del tessuto di questa rete. La bava del ragno dev'essere rilucente e uniforme, e tenue abbastanza da ingannare la preda. È la forza dello sguardo, che stabilisce questa unità, lucida e avvolgente. Per profondità di un filosofo, si intende appunto ciò, e, dopo i greci, nessun filosofo è stato profondo nella misura di Spinoza.” (Giorgio Colli)

Affetto e idea
Un corpo è affetto in molti modi, incessantemente. Di conseguenza lo è anche la mente. “La Mente umana è atta a percepire moltissime cose, e tanto più è atta quanto più il suo Corpo può essere disposto in moltissimi modi” (Prop. XIV, parte seconda, Etica, qui a p. 38). L'affectus non è un modo del pensiero rappresentativo: gioia, tristezza, paura, amore non rappresentano niente. Bensì sono aumenti o diminuzioni di potenza. L'idea invece è un modo rappresentativo del pensiero. Che rapporto c'è tra idee e affetti? Deleuze dedica tutta la prima lezione introduttiva a chiarificare il rapporto tra affectus, affectio, idee adeguate, idee inadeguate. Innanzitutto “l'idea e l'affetto, pur essendo modi del pensiero, differiscono per natura e sono irriducibili l'uno all'altro. E' il loro rapporto che implica che lì dove c'è un affetto, si debba necessariamente presupporre l'esistenza di un'idea, per quanto confusa essa sia” (lezione introduttiva).

Idee inadeguate
La mente è l'idea del corpo; essa sarà quindi composta da una molteplicità di idee di affezioni del corpo. La conoscenza non è che l'affermazione di idee nella mente (le idee si autoaffermano, perché la conoscenza non è l'operazione di un soggetto). Ma “le sole idee che abbiamo nelle condizioni naturali della nostra percezione sono le idee che rappresentano ciò che capita al nostro corpo, l'effetto di un altro corpo sul nostro, vale a dire una mescolanza dei due corpi: tali idee sono necessariamente inadeguate” (Deleuze, lezione introduttiva). Queste idee sono tracce, segni, effetti: “non esprimono l'essenza del corpo esterno, ma indicano la presenza di tale corpo e il suo effetto su di noi”. Il loro ordine sarà fortuito, così come si forma la memoria, contingente e dettato dall'abitudine: le nozioni che formerò con idee inadeguate saranno delle finzioni, esprimeranno soltanto la mia storia, il rapporto caratteristico del mio corpo, anche se all'apparenza potranno essere anche idee di specie, universali (l'ìdea che mi formo di 'cane', di 'pianta', di 'bene', ecc...). (Prop. XVII e seguenti, seconda parte, qui a p. 39). Avere idee inadeguate significa essere passivi, essere ridotti nella propria potenza.

Idee adeguate
Cos'è invece un'idea adeguata? “L'idea adeguata non rappresenta con verità qualche cosa, non rappresenta l'ordine e la connessione delle cose se non in quanto sviluppa nell'attributo pensiero l'ordine autonomo della propria forma e le connessioni automatiche della propria materia.... L'idea inadeguata è come una conseguenza senza le proprie premesse” (Deleuze, Spinoza: Filosofia Pratica). Avere idee adeguate è accedere al livello della necessità, della concatenzione necessaria: la nostra potenza è attiva, può finalmente affermare questo ordine. Ricordiamo che le idee sono sempre connesse agli affetti (sentimenti, aumenti e diminuzioni di potenza). Le idee sono causa di affetti, dunque esisteranno cause adeguate e inadeguate. Un punto fondmaentale è che: “dato che l'idea adeguata si esplica attraverso la nostra potenza di comprendere, non abbiamo un'idea adeguata senza essere noi stessi causa adeguata dei sentimenti che ne seguiranno, e che, dunque, sono attivi (Def. 2, seconda parte, qui a p. 28). Al contrario , in quanto abbiamo delle idee inadeguate, siamo causa inadeguata dei nostri sentimenti, che sono delle passioni.”(SFP)

Diventare attivi
Diventare attivi, se ormai cominciamo a familiarizzare con il modo di sentire spinoziano, significa diventare liberi, non più 'agiti' dalle passioni, ma agenti, cause dei nostri affetti. Le passioni, di cui nella terza parte Spinoza traccia una topografia, districandosi tra le illimitate sfumature date dalla composizione tra i due affetti fondamentali, gioia e tristezza, esistono fintanto che un uomo esiste. L'uomo, la sua essenza singolare o potenza, esiste nella durata, cioè nell'estensione delle infinite parti in cui si effettua il suo rapporto caratteristico: sarà perciò sempre passivo (Prop. II, parte quarta: “In quanto siamo una parte della Natura che non può essere concepita per sé senza le altre, noi siamo passivi”). Spinoza però scrive l'Etica perché convinto che, almeno in parte, l'uomo possa arrivare ad avere idee adeguate, possa diventare attivo, libero, causa dei propri affetti, riducendo la casualità e l'arbitrio delle passioni. (Nella quinta parte si parla di questo, della conoscenza assolutamente adeguata). Bisogna però approfondire il tema degli affetti in rapporto alla potenza, e in seguito in rapporto al desiderio, al bene e al male.

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martedì 11 dicembre 2012

Deleuze, Spinoza. 2 (Individui, Corpi)




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L'artigiano
A causa della scomunica, Spinoza non può più condurre l'attività commerciale della sua famiglia. Per il resto della sua vita sarà un artigiano, un tornitore di lenti, rifiutando sempre qualsiasi incarico didattico istituzionale. (Peraltro sosteneva che chiunque avesse avuto l'ambizione d'insegnare, avrebbe dovuto pagare per farlo).
A mio parere, vedete, gli artisti, i saggi, i filosofi sembrano sempre indaffarati a lucidare delle lenti. Tutto ciò non è che un grande preparativo in vista di un avvenimento che non si verifica mai. Un giorno la lente sarà perfetta; e quel giorno noi percepiremo chiaramente tutta la stupefacente, la straordinaria bellezza di questo mondo”. (Henry Miller)

Il motivo della scomunica
Dottrine sommamente eretiche.

Corpo e mente
Nessuna superiorità di un attributo rispetto all'altro. La materia estesa è Dio; il pensiero è Dio. Entrambi fanno parte della essenza della sostanza infinita. Ogni mio atto di pensiero, ogni idea, è un modo del pensiero (ricordiamo: significa che è causato da e compreso grazie all'attributo del pensiero). Mente e corpo, sono totalmente autosufficienti nella loro esistenza: sono due serie causali che procedono parallelamente senza influenzarsi realmente; ma si corrispondono in ogni modificazione. La mia mano si muove e afferra una sigaretta, la accende: tutto è descrivibile come una variazione di velocità e interazione causale tra corpi; tutto è descrivibile anche in termini di idee. Un esempio che Spinoza fa è il sonnambulo: il sonnambulo è senza coscienza, eppure è in grado di fare ciò che fa uno cosciente. Pensiamo agli animali: per noi non hanno coscienza: la enorme varietà di fenomeni che continuiamo a scoprire nel mondo animale, un mondo senza menti, senza coscienza, dovrebbe bastare a convincerci di quanto poco sappiamo che cosa può il corpo.


Svalorizzazione della coscienza
Per Deleuze, Spinoza intraprende tre 'trasvalutazioni': della coscienza (a vantaggio del pensiero), dei valori e di tutte le 'passioni tristi'. La prima è una svalorizzazione.
...secondo l'Etica, ciò che è azione nell'anima è anche necessariamente azione nel corpo, ciò che è passione nel corpo è anche necessariamente passione nell'anima. Nessuna eminenza di una serie sull'altra. Che cosa intende dire, dunque, Spinoza quando ci invita a prendere il corpo come modello? Si tratta di mostrare che il corpo va oltre la conoscenza che se ne ha, e che nondimeno il pensiero oltrepassa la coscienza che se ne ha. (…) Si cerca di acquisire una conoscenza delle potenze del corpo per scoprire parallelamente le capacità della mente che sfuggono alla coscienza, per poter comparare le potenze. In breve, il corpo, secondo Spinoza, non implica nessuna svalorizzazione della coscienza in rapporto all'estensione, ma, cosa assai più importante, una svalorizzazione della coscienza in rapporto al pensiero, una scoperta dell'inconscio, e di un'inconscio del pensiero, non meno profondo che l'ignoto del corpo. Il fatto è che la coscienza è naturalmente il luogo di un'illusione. La sua natura è tale che essa raccoglie degli effetti, ignorando le cause.” (Deleuze, Spinoza: Filosofia Pratica)

Uomo-acqua, ape-orchidea, ragno-mosca
Ogni corpo è in stato di quiete o moto e ha una determinata velocità. I corpi si compongono in individui quando hanno un rapporto reciproco preciso e costante di moto o quiete. Un individuo è questo rapporto caratteristico tra le infinite parti che lo compongono. Un corpo umano è un insieme di individui (ogni sua parte a sua volta è contraddistinta da un rapporto caratteristico). I corpi si scontrano incessantemente tra di essi, e incontrano rapporti che si compongono o si decompongono. Mangio un cibo buono, il mio rapporto è riaffermato e potenziato; assumo un veleno, il rapporto caratteristico del mio corpo viene decomposto, la mia individualità è minacciata, al limite distrutta. E questa è una prima visione, puramente fisica, della natura. Individui senza posa affetti da altri individui, da cui vengono decomposti o con i quali formano individui maggiormente potenti. “Se imparo a nuotare o a ballare, bisogna che i miei movimenti e le mie pause, le mie velocità e le mie lentezze assumano un ritmo comune a quello del mare o del partner, secondo un adeguamento più o meno durevole” (Deleuze, Spinoza e le tre “etiche”). Altri esempi: un uomo e una musica, un'ape e un orchidea. Spinoza usa il vocabolo occursus per indicare l'incontro casuale. Siamo nell'ambito del primo genere di conoscenza, degli affetti passivi, in cui sperimentiamo ciecamente aumenti e diminuzioni di potenza – sento il calore del sole sulla pelle, provo gioia, sto bene – oppure c'è troppa luce, mi espongo troppo, mi brucio, provo dolore (tristezza). La conoscenza immaginativa, casuale, inadeguata; conosco le cose solo in quanto effetti, indirettamente, conosco le tracce che imprimono su di me. Questo non toglie nulla alla verità delle gioie e delle tristezze che provo, ma rimango passivo, come un bambino; ma ancora, ha un enorme valore questa sperimentazione.

Cosa può un corpo?
Cosa significa tutto ciò? “...un corpo affetta altri corpi, o è affetto da altri corpi: è questo potere di determinare affezioni o di venire affetto che definisce perciò un corpo nella sua individualità.... i corpi e le anime non sono, per Spinoza, né sostanze né soggetti, ma modi.. Tuttavia, accontentarsi di pensarli teoricamente non basta.... Concretamente... molte cose cambiano. Allora si comincia a definire un animale, o un uomo, non più secondo la sua forma, i suoi organi o le sue funzioni, né come soggetto: si comincia a definirlo per gli affetti di cui è capace. Capacità di affetti, con una soglia massimale e una minimale...” Un cavallo da tiro è più simile al bue di un cavallo da corsa. Conoscete uomini-vegetale? Io sì. “Ad esempio, dato un certo animale, a che cosa tale animale è indifferente nel mondo immenso, a che cosa reagisce positivamente o negativamente, quali sono i suoi alimenti, quali i suoi veleni, che cosa 'prende' dal suo mondo? Ogni melodia ha i suoi contrappunti: la pianta e la pioggia, il ragno e la mosca. In nessun caso dunque un animale, una cosa, è separabile dai suoi rapporti con il mondo: l'interiore è solo un esteriore selezionato, l'esteriore un interiore proiettato: la velocità o la lentezza dei metabolismi, delle percezioni, azioni e reazioni si concatenano per costruire quell'individuo nel mondo”. (Deleuze, Spinoza: Filosofia Pratica)

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lunedì 10 dicembre 2012

The Mirror Of Nature





Richard Rorty
Nel 1979 Richard Rorty, un filosofo americano, pubblicò un libro intitolato Philosophy and The Mirror of Nature; La filosofia e lo specchio della natura. Il progetto è ambizioso, una rigorosa indagine sulla filosofia della conoscenza moderna, che poi si allarga a tutta la storia del pensiero occidentale: essa è stata un tentativo, sempre rinnovato, di assimilare l'attività conoscitiva alla 'visione' di un oggetto. Ha finito per concepire la mente come uno specchio; ha voluto ridurre la conoscenza a una sorta di 'percezione', inseguendo il sogno dell'evidenza indiscutibile. Rorty poi espande lo sguardo all'esistenzialismo, all'ermeneutica e a tutti i discorsi non normali. Ma il nucleo argomentativo forte riguarda lo smantellamento della metafora della mente come Specchio della Natura.


Descartes
Descartes è indiscutibilmente il filosofo che ha radicalmente innovato l'impostazione del problema della conoscenza nel mondo intellettuale occidentale. La sua opera si colloca in un periodo di grandi rivolgimenti sia storici che culturali. L'emergere del metodo sperimentale e i successi delle nuove scienze mettevano in discussione la totalità delle conoscenze tradizionali: nasceva la modernità. Nelle opere di Descartes che sono entrate a far parte del canone filosofico, in particolare nel Discorso sul metodo e nelle Meditazioni metafisiche, la via seguita è quella di una critica a ogni conoscenza acquisita, attraverso il dubbio metodico; questa operazione, qualcosa di mai visto prima nella sua abissalità, nelle intenzioni del filosofo è preliminare alla scoperta dei fondamenti indubitabili su cui poter edificare una conoscenza finalmente salda e definitiva. Nella lettura di Rorty, Descartes non è però un filosofo sistematico. Assieme a Hobbes egli non era interessato a distinguere la 'filosofia' dalla 'scienza': “essi combattevano (sebbene con discrezione) per sgombrare il mondo intellettuale per Copernico e Galileo. Non pensavano di offrire dei 'sistemi filosofici', ma di contribuire alla fioritura della ricerca nella matematica e nella meccanica, e di liberare la vita intellettuale dalle istituzioni ecclesiastiche”[1]. Anche riconoscendo che il suo ruolo nella formazione del concetto moderno di filosofia è assegnato retrospettivamente, è comunque individuabile un contenuto positivo: l'impostazione del problema della conoscenza. La 'ragione' di cui parla Descartes è una facoltà che ogni individuo possiede in eguale misura (anche se non ogni individuo sviluppa allo stesso modo), è ciò che contraddistingue l'uomo dall'animale. In ciò egli non si discosta dalle opinioni degli umanisti suoi predecessori o contemporanei. L'innovazione che determinò un cambiamento di paradigma nella filosofia fu la distinzione cartesiana tra mente e materia.


Lo Specchio
La metafora dello 'specchio della natura' riassume in una immagine il paradigma epistemologico costruito sulle premesse di Descartes (e in seguito di Kant), che si è affermato come dominante e si è imposto quasi come un modo 'naturale' di pensare la conoscenza. “Nella concezione cartesiana – quella che divenne la base della gnoseologia 'moderna' – sono le rappresentazioni a essere nella 'mente'. L'Occhio Interiore esamina queste rappresentazioni sperando di trovare un qualche segno che garantisca della loro fedeltà”[2]. Alla radice di questa concezione c'è il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa, che permette di concepire la mente come uno spazio interiore in cui tutto ciò che è raggruppato nella categoria del 'mentale' (immaginazione, percezioni, verità matematiche, regole morali, desideri, ecc...) è oggetto di una 'osservazione' introspettiva. Il mondo interiore, inesteso (in cui la certezza è assicurata dall'indubitabilità di ciò che avviene nella coscienza) è così scisso da quello esterno, esteso: le certezze sul mondo esterno necessitano di ragioni epistemologiche. L'espressione 'Occhio Interiore' mette in evidenza come la metafora sia una metafora visiva: il modello conoscitivo dello specchio della natura è costruito su una analogia con l'attività visiva dell'uomo (come segnala anche la metafora morta della 'contemplazione'). La teoria della conoscenza moderna si sviluppa quindi in senso rappresentazionalista e fondazionalista in modo definitivamente compiuto con Kant.




Kant
Alla radice del sistema kantiano c'è un dualismo più articolato e complesso di quello cartesiano: il dualismo tra concetto e intuizione. Un giudizio (il mattone che compone ogni conoscenza) è la sintesi che il soggetto conoscente fa tra l'esperienza (le intuizioni o rappresentazioni sensibili molteplici) e i concetti (le forme a priori presenti nell'intelletto in grado di conferire l'unità al molteplice). Ancora una volta tuttavia, nel tentativo di dare una comprensione definitiva della propria attività conoscitiva il soggetto non può sottrarsi dal dover utilizzare alcune categorie e dualismi che appaiono necessari ma si rivelano contingenti. In particolare è criticata da Rorty la nozione di un molteplice sensibile preanalitico: “se l'esistenza di un tal molteplice non è un fatto preanalitico evidente, come possiamo far valere come premessa la tesi che la sensibilità ci offre un molteplice? […] Più in generale, se ci apprestiamo a dimostrare che possiamo essere consapevoli delle intuizioni sintetizzate, come otteniamo le nostre informazioni sulle intuizioni che precedono la sintesi?”[3]. In questa critica particolare si mostra all'opera il metodo naturalizzante impiegato da Rorty nel suo lavoro di analisi storico concettuale: non tenta di rispondere a Kant adottando il suo vocabolario e accettando le sue questioni come se fossero indipendenti dal tipo di vocabolario impiegato per formularle. Al contrario, tutta la sua analisi mira a dimostrare che Kant, elaborando un nuovo e articolato vocabolario, in cui molti termini sono olisticamente dipendenti, ha creato le basi per le problematiche epistemologiche moderne le quali non sono affatto problematiche universali, bensì il risultato di alcuni presupposti indiscussi (che ogni vocabolario necessariamente implica).


Eidos, eidenai. L'occhio di Platone.
Un aspetto centrale di questo vocabolario rappresentazionalista è, come abbiamo detto, il suo essere modellato su una analogia tra conoscenza e percezione. Rorty mostra come si possa far risalire questa analogia indietro fino a Platone (la radice di eidènai, sapere in greco, rimanda direttamente al 'vedere'), il quale distingueva tra verità necessarie – il cui modello sono le verità matematiche – e  verità contingenti. Secondo Rorty l'assunto platonico è che “a differenze nell'ordine di certezza devono corrispondere differenze negli oggetti conosciuti”[4]; il dualismo è metafisico (vengono distinti due mondi, quello dell'Essere e quello del Divenire), diverso da quello kantiano tra concetti e intuizioni, ma il fatto che Platone vi ricorra è “prodotto di un certo insieme di metafore scelte per parlare della conoscenza, di quelle metafore della percezione che sono alla base delle discussioni platoniche e di quelle moderne”[5]. Rorty arriva così ad individuare il nucleo di quella che è la metafora dello 'specchio della natura' e della teoria della conoscenza rappresentazionalista e fondazionalista che ne deriva: l'analogia tra percezione e conoscenza ha generato “la nozione di 'fondamenti della conoscenza' – verità che sono certe per le loro cause, piuttosto che per gli argomenti addotti in loro favore. […] L'aspetto essenziale dell'analogia consiste nell'identificare il fatto di conoscere una proposizione come vera con l'essere indotto causalmente da un oggetto a fare qualcosa. L'oggetto preso in considerazione dalla proposizione impone la verità della proposizione.”[6]


Cause e giustificazioni
Questo è il cardine di quella che potremmo definire, con Vattimo, una 'decostruzione' del vocabolario della epistemologia moderna, nel senso di una operazione di analisi e ridescrizione che mira a mostrare la contingenza di termini e concetti del vocabolario epistemologico. Più in generale, Rorty non è interessato a confutare una qualche ipotesi epistemologica: né vuole proporre una teoria che rifletta la vera natura del conoscere. Il suo naturalismo non porta ad una epistemologia naturalizzata, ma all'abbandono delle pretese epistemologiche. Per quale motivo dovremmo abbandonare questo vocabolario? Perché costruito su una confusione fondamentale tra spiegazione causale e giustificazione. Le credenze possono essere giustificate solo da altre credenze, nel gioco linguistico della conoscenza la possibilità di appellarsi al 'dato di fatto' davanti al quale non è più possibile alcun dubbio è una illusione che deriva dalla metafora divinizzante dello Specchio della Natura. Esiste la realtà fisica in cui gli uomini sono in una costante interazione causale con il mondo circostante, ma la sfera della ragione, della conoscenza razionale e quindi della normatività, è esclusivamente umana. La giustificazione non può essere altro che una relazione tra proposizioni, e 'vero' solamente un altro modo per dire 'giustificato'.


[1]    R. Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, p. 101
[2]    p. 41
[3]    p. 117
[4]    p. 119
[5]    p. 121
[6]    p. 120




domenica 9 dicembre 2012

Deleuze, Spinoza. 1





Chi, quando?
Gilles Deleuze è un filosofo (1925-1995). Baruch Spinoza è stato anche lui un filosofo, ma è vissuto qualche secolo prima (1632-1677).

Spinoza maledetto
Nel 1656 Spinoza viene scomunicato dalla comunità ebraica di Amsterdam di cui fa parte:

“Con il giudizio degli angeli e la sentenza dei santi, noi dichiariamo Baruch de Spinoza scomunicato, esecrato, maledetto ed espulso, con l'assenso di tutta la sacra comunità [...]. Sia maledetto di giorno e maledetto di notte; sia maledetto quando si corica e maledetto quando si alza; maledetto nell'uscire e maledetto nell'entrare. Possa il Signore mai piú perdonarlo; possano l'ira e la collera del Signore ardere, d'ora innanzi, quest'uomo, far pesare su di lui tutte le maledizioni scritte nel Libro della Legge, e cancellare il suo nome dal cielo; possa il Signore separarlo, per la sua malvagità, da tutte le tribú d'Israele, opprimerlo con tutte le maledizioni del cielo contenute nel Libro della Legge [...]. Siete tutti ammoniti, che d'ora innanzi nessuno deve parlare con lui a voce, né comunicare con lui per iscritto; che nessuno deve prestargli servizio, né dormire sotto il suo stesso tetto, nessuno avvicinarsi a lui oltre i quattro cubiti [circa due metri], e nessuno leggere alcunché dettato da lui o scritto di suo pugno”.

Per evitare la scomunica avrebbe potuto pentirsi, ma preferì scrivere una Apologia per giustificarsi del suo abbandono della Sinagoga. Scrive Deleuze nel suo libro Spinoza: Filosofia Pratica:

“Per lui la vita divenne difficile ad Amsterdam. Forse in seguito al tentato assassinio da parte di un fanatico, egli si reca a Leyda, per proseguire i suoi studi filosofici, e si installa nella periferia a Rijnsburg. Si racconta che Spinoza conservasse il suo mantello strappato da un colpo di pugnale, per ricordarsi meglio che il pensiero non era mai stato amato dagli uomini; se a volte capita che un filosofo finisca sotto processo, è più raro che cominci con una scomunica e un tentato omicidio.”

Deleuze e Spinoza
Deleuze scrive dei libri e tiene dei corsi su Spinoza. Spinoziani, correggerebbe lui (“è Spinoza stesso che parla attraverso le mie labbra”). Un corso del 1980 è stato trascritto e pubblicato (Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, Ombre Corte, 2007; molti corsi di Deleuze sono disponibili qui): sono dieci lezioni, ognuna delle quali vale da sola più di un corso di quelli cui sono abituato io all'università. Si sente un pensatore rigoroso, appassionato illustrare con una chiarezza fuori dal comune ciò che un altro filosofo ha scritto, e in ogni istante farlo con una intensità che testimonia di cosa sia 'pensare' per Deleuze: una questione di vita o di morte, di libertà o di schiavitù, di potenza o impotenza, spinozianamente.
E' bene chiedersi 'perché dovrebbe interessarmi?' di qualsiasi discorso. Il vero e proprio lavoro speculativo che Deleuze compie con Spinoza (nei saggi e nelle lezioni) non smette mai di rispondere esaurientemente a questa domanda. Qui voglio solo indicare qualche punto. Premetto una volta per tutte che spendereste molto meglio il vostro tempo leggendo direttamente Spinoza o Deleuze.

Lettera di Nietzsche a Franz Overbeck (1881)
“Quasi non conoscevo Spinoza: aver provato proprio ora il desiderio di leggerlo è stata una “azione dettata dall'istinto”. Non solo la sua tendenza complessiva è uguale alla mia – quella cioè di fare della conoscenza l'affetto più possente – ma in cinque punti capitali della sua dottrina io ritrovo me stesso, questo pensatore anormalissimo e solitarissimo è quello che mi è più vicino proprio in queste cose: egli nega la libertà della volontà -; i fini-; l'ordinamento morale del mondo -; l'altruismo -; il male -; sebbene, certamente, anche le differenze siano enormi, queste tuttavia sono dovute più alla diversità di epoca, cultura, scienza”.

Il libro dell'Etica
Il libro più importante di Spinoza si intitola Etica. E' diviso in cinque parti, le prime due trattano di dio e della mente, le tre rimanenti degli affetti (moti dell'animo), della schiavitù e della libertà dell'uomo.
La scelta stilistica purtroppo rende difficoltosa la lettura, almeno in un primo momento. L'esposizione è strutturata per definizioni, assiomi e proposizioni numerate, dimostrazioni e scolii (note alle proposizioni). E' il cosiddetto 'metodo geometrico'.

Cosa non è l'Etica
L'Etica non è la Morale. Non propone una valutazione dell'essere in base a valori. “Dal punto di vista di una ontologia, una morale non è possibile. Perché? Perché la morale implica che ci sia sempre qualcosa di superiore all'Essere, ad esempio l'Uno o il Bene. (…) In una morale è in questione la nostra essenza. Che cos'è l''essenza'? “Realizzare l'essenza”, di questo si occupa la morale. Va da sé che l'essenza non è allora pienamente realizzata. Pur non facendolo in modo evidente, essa parla e dà ordini in nome di quell'istanza superiore..” La morale definisce una essenza come un valore da ricercare. Ad esempio: l'essenza dell'uomo è essere animale razionale. “La morale è un sistema del giudizio, anzi un diplice giudizio: è giudicare ed essere giudicati. A chi piace la morale, piace anche giudicare.” (dalla seconda lezione)

Immanenza e Sostanza
Nell'ontologia di Spinoza, non ci sono istanze superiori all'essere. Non c'è qualcosa di più reale e qualcosa di meno reale. Non ci sono apparenze contrapposte ad essenze. L'essere è un piano di immanenza. Ogni cosa, ente, è un modo di essere, una modificazione della sostanza.
La sostanza, che Spinoza chiama anche Dio (ma che non ha più niente a che vedere con qualsivoglia divinità), è questo infinito essere che non ha niente fuori di sé che lo crei, nè in base al quale possa essere compreso (il rapporto causale nell'estensione corrisponde sempre a un rapporto esplicativo nel pensiero, questa è una cosa da tenere sempre a mente).
Il Pensiero e l'Estensione sono due attributi della sostanza, gli unici che noi concepiamo, anche se essa essendo infinita ne ha di infiniti. Un attributo è infinito, cioè non è limitato da un altro attributo: un corpo non limita un pensiero e viceversa. I modi sono invece delle modificazioni di un attributo, e sono finiti: un corpo è un modo dell'estensione, e un corpo ne limita un altro. I modi si possono chiamare anche affezioni della sostanza.

Quale Dio?
La stupefacente posizione panteista, a ben guardare, non è altro che una logica conseguenza di una premessa monoteista. Dio è un essere infinito, supremo e perfetto? Se è infinito non può creare qualcosa fuori di sé. Se è perfetto non può avere un fine, un progetto da realizzare, non gli manca nulla. Per non parlare poi di un Dio che si arrabbia, che punisce, che fa miracoli infrangendo le leggi naturali che egli stesso ha stabilito. Dunque, Dio non può essere che la natura tutta, cioè la sostanza infinita. Non più una causa 'transitiva' (causa di qualcosa fuori di esso), ma causa di sé, causa immanente.

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