La
colonizzazione dell'inconscio da parte dell'io, l'affermazione del
principio di realtà sul principio di piacere, la traduzione del
desiderio in discorso, la trasformazione della macchina desiderante
in macchina teatrale, l'edipizzazione dell'anedipico, la
riterritorializzazione nevrotica e paranoica della
deterritorializzazione schizofrenica; tutti questi processi non sono
in definitiva che un'unica tecnologia di potere, un unico meccanismo:
la riduzione del molteplice ad unità.
L'essenza
del potere e di tutta la civiltà occidentale guidata da una
razionalità fondata sulla logica del dominio è ridurre il
differente all'identico. La razionalità stessa implica un'istanza di
dominio dal momento che il particolare viene considerato sempre e
solo come caso dell'universale [1].
Un equivalente astratto identifica quello che originariamente si
mostra come eterogeneo [2],
muove guerra nei confronti di tutto ciò che non si lascia
identificare [3] ponendolo al di fuori del reale o manipolandolo per poterlo
assorbire: “la ragione, come pensiero astratto e come condotta, è
necessariamente impero, dominio. Il logos
è legge,
precetto, ordine per virtù di conoscenza” [4].
La ragione è guidata da un a-priori
tecnologico: accorda
dall'esterno universale e particolare, concetto e caso particolare,
al solo fine di trasformare l'esistente in suo oggetto e così
facendo in materiale di sfruttamento. L'uomo si astrae dalla natura
per poterla afferrare e manipolare [5].
Nella trasformazione dell'ambiente esterno per la propria
sopravvivenza, l'uomo si pone come soggetto (dominante) contro un
oggetto (dominato) e l'essere viene ridotto alla sua amministrazione
e manipolazione, la natura esterna (ma successivamente anche quella
interna all'uomo) viene squalificata a oggetto da aggredire. E' una
concezione della natura che compare significativamente anche nella
Genesi [6],
là dove Dio affida la terra all'uomo per soggiogarla e dominarla [7];
solo che ormai lo spirito organizzatore e dominatore dell'uomo ha
preso il posto anche di quel Dio creatore.
La
società industriale
avanzata è l'ultimo
stadio di questo processo storico che ha sempre considerato la natura
come potenziale strumento, oggetto di controllo e dominio [8].
La scienza naturale e la tecnologia sono sì caratterizzate dalla
neutralità e dall'oggettività con cui trattano la materia, ma è
precisamente il loro “carattere neutrale che rapporta l'oggettività
ad uno specifico soggetto storico, cioè alla coscienza che prevale
nella società dalla quale e per la quale la neutralità è
stabilita” [9].
La neutralità è l'ideologia sotto cui si nasconde, nella società
tecnica capitalistica, il potere e la sua logica del dominio.
L'a-priori tecnologico
si rivela come a-priori
politico dal momento
che tutte le creazioni dell'uomo sono sociali e dal momento che la
trasformazione della natura implica quella dell'uomo, anch'esso parte
della natura, per quanto si illuda di potersene astrarre. La natura
interna
all'uomo è
anch'essa campo di strategie di potere, viene oggettivata e
normalizzata per poter essere conquistata. La strumentalizzazione
delle cose, potenziale forza liberatrice dell'uomo, si rivela in
realtà strumentalizzazione dell'uomo, e proprio “questa è la
servitù allo stato puro: esistere come strumento, come cosa” [10].
Questo
meccanismo per cui il dominio sulla natura implica necessariamente il
distacco dalla natura e il dominio sull'uomo, è quello che
Horkheimer e Adorno chiamano la dialettica
dell'illuminismo
(dove con illuminismo non si intende semplicemente il fenomeno
storico ma tutto il razionalismo occidentale) e lo si può ricondurre
alla figura paradigmatica di Ulisse. L'Odissea
è una rappresentazione metaforico-narrativa della progressiva
separazione dell'individuo dalla natura al fine di dominarla
attraverso il sacrificio e la rinuncia al piacere, ogni volta che
questo sia di ostacolo al dominio di sé. La natura, alle cui
seduzioni deve sottrarsi, è incarnata nelle figure mitiche in cui di
volta in volta s'imbatte, la più eloquente delle quali è quella
delle sirene dal canto ammaliatore [11].
Le precauzioni che Odisseo adotta sulla nave al momento di passare
davanti alle tentatrici stanno a indicare la diversa misura del
sacrificio che, in una società segnata dalle diseguaglianze di
classe, viene richiesto ai diversi suoi membri. Odisseo, che in
quanto proprietario è esonerato dal lavoro, può concedersi il
piacere dell'ascolto, ma si fa legare dai compagni all'albero della
nave simbolo del dovere. I marinai, invece, cui spetta l'obbligo di
un lavoro senza godimento, nemmeno il canto debbono udire, che li
distoglierebbe dalla fatica, e dunque i loro sensi vanno
violentemente repressi [12].
“E' ciò a cui la società ha provveduto da sempre. Freschi e
concentrati, i lavoratori devono guardare in avanti, e lasciar stare
tutto ciò che è a lato. L'impulso che li indurrebbe a deviare va
sublimato – con rabbiosa amarezza – in ulteriore sforzo. Essi
diventano pratici. L'altra possibilità è quella che sceglie
Odisseo, il signore terriero, che fa lavorare gli altri per sé. Egli
ode, ma impotente, legato all'albero della nave, e più la tentazione
diventa forte, e più strettamente si fa legare, così come, più
tardi, anche i borghesi si negheranno più tenacemente la felicità
quanto più – crescendo la loro potenza – l'avranno a portata di
mano” [13].
Tutta
la storia dell'Occidente non è altro che la storia della
razionalizzazione del corpo, del controllo sociale su di esso, del
distacco della ragione da esso, dell'affermazione di un dualismo
psicofisico [14].
Dall'ideazione platonica dell'idea e dell'anima [15] al dualismo cartesiano tra res
extensa
e res
cogitans [16],
dalla maledizione della carne della tradizione giudaico-cristiana
alla medicina e alla tecnica, si tratta sempre di oggettivare
contemporaneamente sia la natura che il proprio corpo, perché “ciò
che è inferiore e asservito, viene ancora deriso e maltrattato, e
insieme desiderato come ciò che è vietato, reificato, estraniato.
Solo la civiltà conosce il corpo come qualcosa che si può
possedere, solo in essa esso si è separato dallo spirito –
quintessenza del potere e del comando – come oggetto, cosa morta,
corpus. Con l'autodegradazione dell'uomo a corpus la natura si
vendica perché l'uomo l'ha degradata a oggetto del dominio, a
materia prima” [17].
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1
Cfr. T. ADORNO, Metacritica della teoria della conoscenza,
Milano, Mimesis, 2004, p. 103: “La reificazione della logica, in
quanto autoalienazione del pensiero, ha come equivalente e modello
la reificazione di ciò a cui si riferisce il pensiero: dell'unità
degli oggetti, i quali dinanzi al pensiero che su di essi lavora si
sono talmente incorporati in unità che, prescindendo dal loro
contenuto variante, si può trattenere la pura e semplice forma
della loro unità. Tale astrazione rimane la premessa conforme al
senso di ogni logica. Essa rimanda alla forma della merce la cui
identità consiste nella equivalenza del valore di scambio”.
2
Cfr. F. NIETZSCHE, Frammenti postumi 1884-1885, fr. 40,
Milano, Adelphi, 1975, p. 319: “La logica è legata a questa
condizione: supporre che si diano casi identici”.
3
Cfr. F. NIETZSCHE, Frammenti postumi 1887-1888, fr. 9,
Milando, Adelphi, 1971, p. 46: “A questo punto la logica e il
principio di non contraddizione che la governa sono un imperativo
non per conoscere il vero, ma per porre e ordinare un mondo che deve
essere vero per noi. La logica è il tentativo di comprendere, o
meglio di rendere per noi formulabile, calcolabile, secondo uno
schema di essere da noi posto, il mondo reale”.
4
H. MARCUSE, L'uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 2004,
p. 174.
5
Cfr, M. HEIDEGGER, Kant e il problema della metafisica, Bari,
Laterza, 1981, p. 36: “Nel produrre la forma del concetto,
l'intelletto contribuisce a rendere disponibile il contenuto
dell'oggetto, in questo modo di porre si rivela la peculiarità del
pro-porre rappresentativo proprio del pensiero”.
6
Cfr. U. GALIMBERTI, Il tramonto dell'Occidente, Milano,
Feltrinelli, 2006, p. 294: “Il cosmo diventa mondo da dominare, da
assoggettare. Non appartiene a se stesso, ma a Dio che l'ha evocato
e all'uomo a cui è stato affidato. Il suo significato non è
cosmologico, ma è antropo-teologico, subordinato cioè all'uomo che
è fatto a immagine e somiglianza di Dio”.
7
Cfr. Genesi, 1,28: “Dio creò l'uomo a sua immagine; a
immagine di Dio lo creò; maschio e femmine li creò. Dio li
benedisse e disse loro:”siate fecondi e moltiplicatevi, riempite
la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli
del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”.
8
Cfr. M. HEIDEGGER, L'abbandono, Genova, Il melangelo, 1983,
p.34: “Il mondo appare come un oggetto, un oggetto a cui il
pensiero calcolante sferra i suoi assalti, ai quali, si ritiene,
nulla è più in grado di opporsi, mentre la natura si trasforma in
un unico gigantesco serbatoio di energia al servizio dell'industria
e della tecnica”.
9
H. MARCUSE, L'uomo a una
dimensione, Torino, Einaudi,
2004, p. 164.
10
Ivi, p. 46.
11
Cfr. OMERO, Odissea, IX.
12
Cfr. G. FORNERO e S. TASSINARI, Le filosofie del Novecento,
Milano, Mondadori, 2002, p. 557.
13
M. HORKHEIMER e T. ADORNO, Dialettica dell'illuminismo,
Torino, Einaudi, 2005, p. 41.
14
Cfr. U. GALIMBERTI, Psichiatria e fenomenologia, Milano,
Feltrinelli, 2006, p. 27.
15
Cfr. PLATONE, Fedone, 66 b-67 a., Milano, Rusconi, 1991: “Nel
tempo in cui siamo in vita, come sembra, noi ci avvicineremo tanto
più al sapere quanto meno avremo relazioni con il corpo e comunione
con esso, se non nella stretta misura in cui vi sia imprescindibile
necessità, e non ci lasceremo contaminare dalla natura del corpo,
ma dal corpo ci manterremo puri fino a che Iddio stesso non ci avrà
sciolto da esso. E così, liberati dalla follia del corpo, come è
verosimile, ci troveremo con esseri puri come noi e conosceremo,
nella purezza della nostra anima, tutto ciò che è puro: questo io
penso è la verità”.
16
Cfr. CARTESIO, Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima,
in Opere filosofiche, Bari, Laterza, 1986, p. 72: “E
sebbene, forse, io abbia un corpo, al quale sono assai strettamente
congiunto, tuttavia, poiché da un lato ho una chiara e distinta
idea di me stesso, in quanto sono solamente una cosa pensante e
inestesa, e da un altro lato ho un'idea distinta del corpo, in
quanto esso è solamente una cosa estesa e non pensante, è certo
che questo io, cioè la mia anima, per la quale sono ciò che sono,
è interamente e veramente distinta dal mio corpo, e può essere o
esistere senza di lui”.
17
M. HORKHEIMER e T. ADORNO, Interesse per il corpo, in
Dialettica dell'illuminismo, Torino, Einaudi, 2005
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