Richard
Rorty
Nel
1979 Richard Rorty, un filosofo americano, pubblicò un libro
intitolato Philosophy and The Mirror of Nature;
La filosofia e lo specchio della natura.
Il progetto è ambizioso, una rigorosa indagine sulla filosofia della
conoscenza moderna, che poi si allarga a tutta la storia del pensiero
occidentale: essa è stata un tentativo, sempre rinnovato, di
assimilare l'attività conoscitiva alla 'visione' di un oggetto. Ha
finito per concepire la mente come uno specchio; ha voluto ridurre la
conoscenza a una sorta di 'percezione', inseguendo il sogno
dell'evidenza indiscutibile. Rorty poi espande lo sguardo
all'esistenzialismo, all'ermeneutica e a tutti i discorsi non
normali. Ma il nucleo argomentativo forte riguarda lo smantellamento
della metafora della mente come Specchio della Natura.
Descartes
Descartes
è indiscutibilmente il filosofo che ha radicalmente innovato
l'impostazione del problema della conoscenza nel mondo intellettuale
occidentale. La sua opera si colloca in un periodo di grandi
rivolgimenti sia storici che culturali. L'emergere del metodo
sperimentale e i successi delle nuove scienze mettevano in
discussione la totalità delle conoscenze tradizionali: nasceva la
modernità. Nelle opere di Descartes che sono entrate a far parte del
canone filosofico, in particolare nel Discorso
sul metodo
e nelle Meditazioni
metafisiche,
la via seguita è quella di una critica a ogni conoscenza acquisita,
attraverso il dubbio metodico; questa operazione, qualcosa di mai
visto prima nella sua abissalità, nelle intenzioni del filosofo è
preliminare alla scoperta dei fondamenti indubitabili su cui poter
edificare una conoscenza finalmente salda e definitiva. Nella lettura
di Rorty, Descartes non è però un filosofo sistematico. Assieme a
Hobbes egli non era interessato a distinguere la 'filosofia' dalla
'scienza': “essi combattevano (sebbene con discrezione) per
sgombrare il mondo intellettuale per Copernico e Galileo. Non
pensavano di offrire dei 'sistemi filosofici', ma di contribuire alla
fioritura della ricerca nella matematica e nella meccanica, e di
liberare la vita intellettuale dalle istituzioni ecclesiastiche”[1].
Anche riconoscendo che il suo ruolo nella formazione del concetto
moderno di filosofia è assegnato retrospettivamente, è comunque
individuabile un contenuto positivo: l'impostazione del problema
della conoscenza. La 'ragione' di cui parla Descartes è una facoltà
che ogni individuo possiede in eguale misura (anche se non ogni
individuo sviluppa allo stesso modo), è ciò che contraddistingue
l'uomo dall'animale. In ciò egli non si discosta dalle opinioni
degli umanisti suoi predecessori o contemporanei. L'innovazione che
determinò un cambiamento di paradigma nella filosofia fu la
distinzione cartesiana tra mente e materia.
Lo
Specchio
La
metafora dello 'specchio della natura' riassume in una immagine il
paradigma epistemologico costruito sulle premesse di Descartes (e in
seguito di Kant), che si è affermato come dominante e si è imposto
quasi come un modo 'naturale' di pensare la conoscenza. “Nella
concezione cartesiana – quella che divenne la base della
gnoseologia 'moderna' – sono le rappresentazioni
a essere nella 'mente'. L'Occhio Interiore esamina queste
rappresentazioni sperando di trovare un qualche segno che garantisca
della loro fedeltà”[2]. Alla
radice di questa concezione c'è il dualismo cartesiano tra res
cogitans e
res
extensa,
che permette di concepire la mente come uno spazio interiore in cui
tutto ciò che è raggruppato nella categoria del 'mentale'
(immaginazione, percezioni, verità matematiche, regole morali,
desideri, ecc...) è oggetto di una 'osservazione' introspettiva. Il
mondo interiore, inesteso (in cui la certezza è assicurata
dall'indubitabilità di ciò che avviene nella coscienza) è così
scisso da quello esterno, esteso: le certezze sul mondo esterno
necessitano di ragioni epistemologiche. L'espressione 'Occhio
Interiore' mette in evidenza come la metafora sia una metafora
visiva:
il modello conoscitivo dello specchio della natura è costruito su
una analogia con l'attività visiva dell'uomo (come segnala anche la
metafora morta della 'contemplazione'). La teoria della conoscenza
moderna si sviluppa quindi in senso rappresentazionalista e
fondazionalista in modo definitivamente compiuto con Kant.
Kant
Alla
radice del sistema kantiano c'è un dualismo più articolato e
complesso di quello cartesiano: il dualismo tra concetto e
intuizione. Un giudizio (il mattone che compone ogni conoscenza) è
la sintesi che il soggetto conoscente fa tra l'esperienza (le
intuizioni o rappresentazioni sensibili molteplici) e i concetti (le
forme
a
priori presenti nell'intelletto in grado di conferire l'unità al
molteplice). Ancora una volta tuttavia, nel tentativo di dare una
comprensione definitiva della propria attività conoscitiva il
soggetto non può sottrarsi dal dover utilizzare alcune categorie e
dualismi che appaiono necessari ma si rivelano contingenti. In
particolare è criticata da Rorty la nozione di un molteplice
sensibile preanalitico: “se l'esistenza di un tal molteplice non è
un fatto preanalitico evidente, come possiamo far valere come
premessa la tesi che la sensibilità ci offre un molteplice? […]
Più in generale, se ci apprestiamo a dimostrare che possiamo essere
consapevoli delle intuizioni sintetizzate, come otteniamo le nostre
informazioni sulle intuizioni che precedono la sintesi?”[3].
In questa critica particolare si mostra all'opera il metodo
naturalizzante impiegato da Rorty nel suo lavoro di analisi storico
concettuale: non tenta di rispondere a Kant adottando il suo
vocabolario e accettando le sue questioni come se fossero
indipendenti dal tipo di vocabolario impiegato per formularle. Al
contrario, tutta la sua analisi mira a dimostrare che Kant,
elaborando un nuovo e articolato vocabolario, in cui molti termini
sono olisticamente dipendenti, ha creato le basi per le problematiche
epistemologiche moderne le quali non sono affatto problematiche
universali,
bensì il risultato di alcuni presupposti indiscussi (che ogni
vocabolario necessariamente implica).
Eidos,
eidenai. L'occhio di Platone.
Un
aspetto centrale di questo vocabolario rappresentazionalista è, come
abbiamo detto, il suo essere modellato su una analogia tra conoscenza
e percezione. Rorty mostra come si possa far risalire questa analogia
indietro fino a Platone (la radice di eidènai,
sapere
in greco, rimanda direttamente al 'vedere'), il quale distingueva tra
verità necessarie – il cui modello sono le verità matematiche –
e verità contingenti. Secondo Rorty l'assunto platonico è che
“a differenze nell'ordine di certezza devono corrispondere
differenze negli oggetti conosciuti”[4];
il dualismo è metafisico (vengono distinti due mondi, quello
dell'Essere e quello del Divenire), diverso da quello kantiano tra
concetti e intuizioni, ma il fatto che Platone vi ricorra è
“prodotto di un certo insieme di metafore scelte per parlare della
conoscenza, di quelle metafore della percezione che sono alla base
delle discussioni platoniche e di quelle moderne”[5].
Rorty arriva così ad individuare il nucleo di quella che è la
metafora dello 'specchio della natura' e della teoria della
conoscenza rappresentazionalista e fondazionalista che ne deriva:
l'analogia tra percezione e conoscenza ha generato “la nozione di
'fondamenti della conoscenza' – verità che sono certe per le loro
cause, piuttosto che per gli argomenti addotti in loro favore. […]
L'aspetto essenziale dell'analogia consiste nell'identificare il
fatto di conoscere una proposizione come vera con l'essere indotto
causalmente da un oggetto a fare qualcosa. L'oggetto preso in
considerazione dalla proposizione impone
la
verità della proposizione.”[6]
Cause
e giustificazioni
Questo
è il cardine di quella che potremmo definire, con Vattimo, una
'decostruzione' del vocabolario della epistemologia moderna, nel
senso di una operazione di analisi e ridescrizione che mira a
mostrare la contingenza di termini e concetti del vocabolario
epistemologico. Più in generale, Rorty non è interessato a
confutare una qualche ipotesi epistemologica: né vuole proporre una
teoria che rifletta la vera natura del conoscere. Il suo naturalismo
non porta ad una epistemologia naturalizzata, ma all'abbandono delle
pretese epistemologiche. Per quale motivo dovremmo abbandonare questo
vocabolario? Perché costruito su una confusione fondamentale tra
spiegazione causale e giustificazione. Le credenze
possono essere giustificate solo da altre credenze, nel gioco
linguistico della conoscenza la possibilità di appellarsi al 'dato
di fatto' davanti al quale non è più possibile alcun dubbio è una
illusione che deriva dalla metafora divinizzante dello Specchio della
Natura. Esiste la realtà fisica in cui gli uomini sono in una
costante interazione causale con il mondo circostante, ma la sfera
della ragione, della conoscenza razionale e quindi della normatività,
è esclusivamente umana. La giustificazione non può essere altro che
una relazione tra proposizioni, e 'vero' solamente un altro modo per
dire 'giustificato'.
[1]
R. Rorty, La
filosofia e lo specchio della natura,
p. 101
[2]
p. 41
[3]
p. 117
[4]
p. 119
[5]
p. 121
[6]
p. 120
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