lunedì 10 dicembre 2012

The Mirror Of Nature





Richard Rorty
Nel 1979 Richard Rorty, un filosofo americano, pubblicò un libro intitolato Philosophy and The Mirror of Nature; La filosofia e lo specchio della natura. Il progetto è ambizioso, una rigorosa indagine sulla filosofia della conoscenza moderna, che poi si allarga a tutta la storia del pensiero occidentale: essa è stata un tentativo, sempre rinnovato, di assimilare l'attività conoscitiva alla 'visione' di un oggetto. Ha finito per concepire la mente come uno specchio; ha voluto ridurre la conoscenza a una sorta di 'percezione', inseguendo il sogno dell'evidenza indiscutibile. Rorty poi espande lo sguardo all'esistenzialismo, all'ermeneutica e a tutti i discorsi non normali. Ma il nucleo argomentativo forte riguarda lo smantellamento della metafora della mente come Specchio della Natura.


Descartes
Descartes è indiscutibilmente il filosofo che ha radicalmente innovato l'impostazione del problema della conoscenza nel mondo intellettuale occidentale. La sua opera si colloca in un periodo di grandi rivolgimenti sia storici che culturali. L'emergere del metodo sperimentale e i successi delle nuove scienze mettevano in discussione la totalità delle conoscenze tradizionali: nasceva la modernità. Nelle opere di Descartes che sono entrate a far parte del canone filosofico, in particolare nel Discorso sul metodo e nelle Meditazioni metafisiche, la via seguita è quella di una critica a ogni conoscenza acquisita, attraverso il dubbio metodico; questa operazione, qualcosa di mai visto prima nella sua abissalità, nelle intenzioni del filosofo è preliminare alla scoperta dei fondamenti indubitabili su cui poter edificare una conoscenza finalmente salda e definitiva. Nella lettura di Rorty, Descartes non è però un filosofo sistematico. Assieme a Hobbes egli non era interessato a distinguere la 'filosofia' dalla 'scienza': “essi combattevano (sebbene con discrezione) per sgombrare il mondo intellettuale per Copernico e Galileo. Non pensavano di offrire dei 'sistemi filosofici', ma di contribuire alla fioritura della ricerca nella matematica e nella meccanica, e di liberare la vita intellettuale dalle istituzioni ecclesiastiche”[1]. Anche riconoscendo che il suo ruolo nella formazione del concetto moderno di filosofia è assegnato retrospettivamente, è comunque individuabile un contenuto positivo: l'impostazione del problema della conoscenza. La 'ragione' di cui parla Descartes è una facoltà che ogni individuo possiede in eguale misura (anche se non ogni individuo sviluppa allo stesso modo), è ciò che contraddistingue l'uomo dall'animale. In ciò egli non si discosta dalle opinioni degli umanisti suoi predecessori o contemporanei. L'innovazione che determinò un cambiamento di paradigma nella filosofia fu la distinzione cartesiana tra mente e materia.


Lo Specchio
La metafora dello 'specchio della natura' riassume in una immagine il paradigma epistemologico costruito sulle premesse di Descartes (e in seguito di Kant), che si è affermato come dominante e si è imposto quasi come un modo 'naturale' di pensare la conoscenza. “Nella concezione cartesiana – quella che divenne la base della gnoseologia 'moderna' – sono le rappresentazioni a essere nella 'mente'. L'Occhio Interiore esamina queste rappresentazioni sperando di trovare un qualche segno che garantisca della loro fedeltà”[2]. Alla radice di questa concezione c'è il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa, che permette di concepire la mente come uno spazio interiore in cui tutto ciò che è raggruppato nella categoria del 'mentale' (immaginazione, percezioni, verità matematiche, regole morali, desideri, ecc...) è oggetto di una 'osservazione' introspettiva. Il mondo interiore, inesteso (in cui la certezza è assicurata dall'indubitabilità di ciò che avviene nella coscienza) è così scisso da quello esterno, esteso: le certezze sul mondo esterno necessitano di ragioni epistemologiche. L'espressione 'Occhio Interiore' mette in evidenza come la metafora sia una metafora visiva: il modello conoscitivo dello specchio della natura è costruito su una analogia con l'attività visiva dell'uomo (come segnala anche la metafora morta della 'contemplazione'). La teoria della conoscenza moderna si sviluppa quindi in senso rappresentazionalista e fondazionalista in modo definitivamente compiuto con Kant.




Kant
Alla radice del sistema kantiano c'è un dualismo più articolato e complesso di quello cartesiano: il dualismo tra concetto e intuizione. Un giudizio (il mattone che compone ogni conoscenza) è la sintesi che il soggetto conoscente fa tra l'esperienza (le intuizioni o rappresentazioni sensibili molteplici) e i concetti (le forme a priori presenti nell'intelletto in grado di conferire l'unità al molteplice). Ancora una volta tuttavia, nel tentativo di dare una comprensione definitiva della propria attività conoscitiva il soggetto non può sottrarsi dal dover utilizzare alcune categorie e dualismi che appaiono necessari ma si rivelano contingenti. In particolare è criticata da Rorty la nozione di un molteplice sensibile preanalitico: “se l'esistenza di un tal molteplice non è un fatto preanalitico evidente, come possiamo far valere come premessa la tesi che la sensibilità ci offre un molteplice? […] Più in generale, se ci apprestiamo a dimostrare che possiamo essere consapevoli delle intuizioni sintetizzate, come otteniamo le nostre informazioni sulle intuizioni che precedono la sintesi?”[3]. In questa critica particolare si mostra all'opera il metodo naturalizzante impiegato da Rorty nel suo lavoro di analisi storico concettuale: non tenta di rispondere a Kant adottando il suo vocabolario e accettando le sue questioni come se fossero indipendenti dal tipo di vocabolario impiegato per formularle. Al contrario, tutta la sua analisi mira a dimostrare che Kant, elaborando un nuovo e articolato vocabolario, in cui molti termini sono olisticamente dipendenti, ha creato le basi per le problematiche epistemologiche moderne le quali non sono affatto problematiche universali, bensì il risultato di alcuni presupposti indiscussi (che ogni vocabolario necessariamente implica).


Eidos, eidenai. L'occhio di Platone.
Un aspetto centrale di questo vocabolario rappresentazionalista è, come abbiamo detto, il suo essere modellato su una analogia tra conoscenza e percezione. Rorty mostra come si possa far risalire questa analogia indietro fino a Platone (la radice di eidènai, sapere in greco, rimanda direttamente al 'vedere'), il quale distingueva tra verità necessarie – il cui modello sono le verità matematiche – e  verità contingenti. Secondo Rorty l'assunto platonico è che “a differenze nell'ordine di certezza devono corrispondere differenze negli oggetti conosciuti”[4]; il dualismo è metafisico (vengono distinti due mondi, quello dell'Essere e quello del Divenire), diverso da quello kantiano tra concetti e intuizioni, ma il fatto che Platone vi ricorra è “prodotto di un certo insieme di metafore scelte per parlare della conoscenza, di quelle metafore della percezione che sono alla base delle discussioni platoniche e di quelle moderne”[5]. Rorty arriva così ad individuare il nucleo di quella che è la metafora dello 'specchio della natura' e della teoria della conoscenza rappresentazionalista e fondazionalista che ne deriva: l'analogia tra percezione e conoscenza ha generato “la nozione di 'fondamenti della conoscenza' – verità che sono certe per le loro cause, piuttosto che per gli argomenti addotti in loro favore. […] L'aspetto essenziale dell'analogia consiste nell'identificare il fatto di conoscere una proposizione come vera con l'essere indotto causalmente da un oggetto a fare qualcosa. L'oggetto preso in considerazione dalla proposizione impone la verità della proposizione.”[6]


Cause e giustificazioni
Questo è il cardine di quella che potremmo definire, con Vattimo, una 'decostruzione' del vocabolario della epistemologia moderna, nel senso di una operazione di analisi e ridescrizione che mira a mostrare la contingenza di termini e concetti del vocabolario epistemologico. Più in generale, Rorty non è interessato a confutare una qualche ipotesi epistemologica: né vuole proporre una teoria che rifletta la vera natura del conoscere. Il suo naturalismo non porta ad una epistemologia naturalizzata, ma all'abbandono delle pretese epistemologiche. Per quale motivo dovremmo abbandonare questo vocabolario? Perché costruito su una confusione fondamentale tra spiegazione causale e giustificazione. Le credenze possono essere giustificate solo da altre credenze, nel gioco linguistico della conoscenza la possibilità di appellarsi al 'dato di fatto' davanti al quale non è più possibile alcun dubbio è una illusione che deriva dalla metafora divinizzante dello Specchio della Natura. Esiste la realtà fisica in cui gli uomini sono in una costante interazione causale con il mondo circostante, ma la sfera della ragione, della conoscenza razionale e quindi della normatività, è esclusivamente umana. La giustificazione non può essere altro che una relazione tra proposizioni, e 'vero' solamente un altro modo per dire 'giustificato'.


[1]    R. Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, p. 101
[2]    p. 41
[3]    p. 117
[4]    p. 119
[5]    p. 121
[6]    p. 120




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